lunedì 24 ottobre 2011

Stay Hungry Stay Foolish: Pietro De Viola e Alice senza niente

Sono molto contenta di inaugurare quest'angolo del blog con un'intervista che mi sta molto a cuore. Si tratta della chiacchierata che ho fatto con Pietro De Viola, ragazzo trentenne di Messina che ha deciso di affidare ad una pagina bianca il disagio di molti giovani precari. Ha scritto così Alice senza niente, libro che è stato un vero e proprio caso editoriale: è nato gratuitamente on line nel 2010 e, senza avere alle spalle nessuna casa editrice (ora invece è in libreria pubblicato da Terre di Mezzo), è riuscito a conquistare 35mila utenti che si sono appassionati alla storia di Alice e Riccardo. Il tutto solo con la potenza della rete e del passaparola.

Ciao Pietro, il tuo libro Alice senza niente è un caso editoriale: ha “venduto” 35mila copie senza essere in libreria, grazie solo al tam tam in rete. Com’è nata questa idea e ti sei dato una motivazione per questo grande successo?

Quella di Alice senza niente è un’idea che ho maturato durante un lungo periodo. Non saprei, ad oggi, dire esattamente il momento in cui tutto è cominciato. E’ stata – ed è – una vicenda nella quale si coniugano diverse esperienze, diversi sentimenti ed emozioni, che immagino non dimenticherò.
Credo che in un primo momento la diffusione possa essere spiegata con l’influenza che i social network sono arrivati ad avere in quella continua interconnessione che è il nostro vivere quotidiano. Ma, detto questo, una presenza così massiccia, un interesse così ampio, non può spiegarsi solo con le condivisioni su facebook. Per arrivare a così tante persone, per innescare il famoso “passaparola”, un libro deve, prima di tutto, piacere alla gente. Come questo accada, con sincerità, lo ignoro.


La protagonista del libro è appunto Alice, una ragazza trentenne laureata con il massimo dei voti ma che nonostante questo è disoccupata. E non perché aspiri al lavoro dei suoi sogni, anzi. Al colloquio le dicono che è persino troppo qualificata per un posto da cassiera. Ti sei ispirato a persone che hai realmente conosciuto per questo personaggio o anche a te stesso?

Ahi Ahi Ahi! Purtroppo mi sono ispirato non solo a me stesso – sarebbe un problema di scarso interesse, ovviamente – ma anche a moltissimi miei coetanei. Direi che il problema si palesa semplicemente guardandosi intorno: chi di voi ha amici trentenni che lavorano a tempo indeterminato? O meglio: quanti dei vostri amici trentenni lavorano?

  
Una cosa che mi ha colpito del tuo romanzo è che non cerca di trovare soluzioni, non è consolatorio. È come se noi lettori guardassimo alla finestra un pezzo dell’esistenza di Alice e Riccardo, la loro casa, la fatica quotidiana, il non concedersi mai vizi. L’impressione che ho avuto è che Alice e Riccardo siamo noi, dei vicini di casa, dei passanti in strada. All’apparenza insospettabili.  Che ne pensi?

Penso che la tua analisi sia quantomeno calzante, e di questo vorrei ringraziarti. E’ probabilmente quello che avevo in mente di ricreare, durante la stesura del romanzo: l’impressione che appunto il lettore potesse “entrare” nei personaggi. E sentirsi perduto come loro, e con loro.

 La precarietà continua ad essere un tema molto caro all’universo “fiction”: film, libri, opere teatrali ne parlano. Io stessa ho aperto un blog sul tema. Non hai l’impressione che i discorsi siano comunque troppi rispetto alla risoluzione del problema?

No, e ti spiego il perché della mia opinione. Quando ho cominciato a pensare ad un romanzo che parlasse di precariato e disoccupazione, mi sono preoccupato di guardarmi intorno con occhi nuovi, con più attenzione.
Sentivo gente disperata, ragazzi fino a poco tempo prima pieni di vita che via via scendevano nell’inferno della solitudine e dello sconforto, della povertà dissimulata, non dichiarata. Poi arrivavo a casa, la sera, ed in tv vedevo solo ballerine, pacchi milionari, risate finte. Qualcosa non andava. O era falso il mondo che vedevo io, o lo era quello che ci veniva presentato come reale. Credo che uno dei problemi sia stato questo inganno, questo non voler parlare della nostra condizione. Forse per “merito” del welfare familiare che garantiva i più, il problema in un primo momento è passato sotto silenzio. Ma l’assenza di discussione pregiudica il raggiungimento di una soluzione.

Cosa ne pensi del movimento degli indignados, al di là dei fatti orribili di Roma?

Penso che gli indignados finiranno sui libri di storia nello stesso capitolo dedicato alla primavera araba, e si conierà per loro una qualche definizione specifica, tipo “movimento social”, o simili. E’ noto che gli avvenimenti, per poter essere meglio inquadrati,  vadano visti a distanza di tempo, ma forse è vero che la storia non è mai stata così veloce.

  
Cosa ti auguri per il tuo futuro? 

Permettimi di aggirare la domanda. Più che formulare un augurio per me stesso, credo che il mio dovere sia quello di pensare a cosa auguro io a chi in questo momento non vede via d’uscita. Di rimanere lucidi e forti, e di non smettere mai, qualsiasi prova siate costretti a sopportare, di voler bene a voi stessi ed agli altri.

Grazie Pietro. Stay Hungry, Stay Foolish. 
  

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