domenica 27 febbraio 2011

Pensione? No, grazie

L'altra sera mi è arrivata una mail. La apro e il titolo è: "Sei preoccupato per la tua pensione?" Segue tutta una serie di spiegazioni su come calcolare la suddetta. Ora, non essendo dell'Inps, sicuramente la responsabile di tutto ciò è mia zia. Ne sono certa. Non sa usare il computer, ma può avere corrotto qualche tecnico per mandarmi messaggi minatori e neanche tanto subliminali.

Tutto ciò mi ha fatto riflettere su ciò che ti garantisce una pensione, ovvero un lavoro. E' incredibile come ognuno di noi, da un certo punto dell'esistenza in poi, venga definito per il posto che occupa. Credo che la domanda "cosa fai tu nella vita?" segua immediatamente il "come ti chiami?" quando si incontra una persona nuova. A seconda della risposta si apre tutto un mondo, dove mia zia sicuramente sguazzerebbe molto bene. La professione diventa una specie di epiteto formulare, un po' come quello che i greci dedicavano ad Achille (piè veloce) o a Penelope (dalla grande mano. Eh no, quella mano non serve per cose sessuali).

-"Ciao, vorrei presentarti Carlocheèunfisiconeucleareelavoraalcerndiginevra"
oppure
- "Lei è Francescaunphdabostonepoiprojectmanagerinunamultinazionale"

E per pronunciarli correttamente, questi epiteti, non bisogna prendere fiato.
Ora, io non sono contraria a quelli che scelgono di votarsi alla carriera. Ma per averne una decente bisogna essere reperibili quasi sempre, essere disposti agli orari flessibili, diventare un po' come dei medici raggiungibili ovunque, con la sola differenza che non si stanno salvando delle vite. Certo, avere una buona posizione aiuta, se non altro per avere un mutuo (non è assurdo guadagnare dei soldi per spenderli da un'altra parte?), ma io mi chiedo: queste persone sono davvero contente? sono davvero realizzate? Oppure c'è dell'altro e si ha paura di dirlo?
Si, zia. Iosonovalentinachelavoracomeprecariaenonostanteciòsonofelice.

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