venerdì 24 giugno 2011

Sul giornalismo

Per la serie "visto che mi piace lavorare da casa", oggi sono andata a lavorare da un'altra parte: in carcere. Non mi hanno arrestata (anche perché se proprio dovessero rinchiudermi la val Seriana dove va mia nonna in vacanza sarebbe peggio delle sbarre), sono andata ad assistere all'inaugurazione di un centro estivo all'interno della struttura. Ebbene si: i centri estivi sono un po' ovunque, complice la chiusura della scuola. Era la mia prima volta in prigione
(detto così suona malissimo, ma tant'è) e devo dire che è stata un'esperienza strana; ovviamente per entrare bisogna passare dei controlli, essere accompagnati da degli agenti da un posto all'altro. Non ho visto cose strane tipo i detenuti alla finestra con le braccia tra le sbarre come fanno sempre vedere nei film americani. Però ho visto un ragazzo giovane, avrà avuto meno di trent'anni, uscire con il suo borsone. L'agente che lo accompagnava gli leggeva che cosa poteva o non poteva fare una volta ritrovata la libertà (?): non andare in altri posti se non in quelli segnalati dal suo foglio di via, non guidare la macchina ma farsi accompagnare...insomma discorsi che sentiti da vicino fanno un certo effetto.
Ho avuto anche modo di parlare con le educatrici che si occupano del centro estivo e questo mi ha fatto riflettere sul mio mestiere. Mi sono domandata: il dovere di un bravo giornalista è raccontare delle storie eclatanti o le storie delle quotidianità? Io credo che un cronista per essere tale debba saper narrare la società in cui vive, non solo quella dai toni urlati, ma anche (e forse soprattutto) quella composta dalle persone. Vicini, amici, passanti. Tutti hanno una vita o un mestiere di cui parlare. Ed è il dovere del giornalista quello di far sentire la loro voce.

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