giovedì 21 luglio 2011

L'angolo dell'ospite: La Ballata dei precari pt. 2

Come promesso eccovi la seconda parte dell'intervista realizzata con Silvia Lombardo, autrice assieme ai suoi amici del film La Ballata dei precari, progetto che questo blog sostiene e che vuole contribuire a diffondere. Perché essere precari non è la fine, anzi: quando si è in condizioni di non facile equilibrio è proprio quello il momento in cui si pescano le nostre risorse nascoste.
Che dire? Buona lettura.



Come fa un giovane a sopravvivere alla propria precarietà secondo voi?
Questo mi piacerebbe davvero molto spiegarlo a chi ci governa, soprattutto a quelli che si permettono di fare certe infelici osservazioni. Sarebbe una bella idea per un reality: “Un giorno col precario”.
Mi piacerebbe mostrargli cosa significhi inviare 100 curricula senza ricevere risposta o, al massimo, un paio di offerte di stage gratuito anche passati i trent’anni e con un passato lavorativo di tutto rispetto.
Mi piacerebbe portarli con me quando vado a fare qualche lavoretto per arrotondare dalla barista, alla baby sitter, all’animatrice di feste per bambini, alla promoter, al volantinaggio. Io come tantissimi altri che per mettere insieme uno stipendio si barcamenano fra 3000 lavori.
E poi mi piacerebbe farmi accompagnare ad un colloquio, quando dall’altra parte della scrivania ti senti dire “Noi PREFERIAMO assumere persone con partita iva”. E farli sedere in poltrona a guardarti mentre alle 3 del mattino, invece di dormire sonni tranquilli, ti rosoli nel letto chiedendoti se convenga aprirla questa partita iva per non perdere l’unico straccio di lavoro che ti hanno offerto.
O quando, per andare dal dentista, devi chiedere i soldi a mamma e papà.
Gran finale, li vorrei con me dal commercialista quando mi dice che per aver guadagnato 15000 euro ne devo versare 5000 fra tasse ed Inps. Sapendo poi che lavoro per pagare la pensione a qualcun altro, perché io di quei soldi credo che ne vedrò ben pochi, viste le ultime notizie che circolano.
Come fa un giovane a sopravvivere alla precarietà? Si arrangia, si dà da fare, spera, si impegna. Alla faccia di quello che si sente dire in giro…

Cosa ne pensate del movimento degli Indignados in Spagna? Secondo voi in Italia si potrebbe mai fare la stessa cosa?
Me lo sono chiesto molte volte. Sarebbe bello se anche in Italia riuscissimo ad avere il coraggio di ribellarci e di essere compatti. Purtroppo, dirò una cosa impopolare, gli italiani hanno la sindrome della vecchietta in fila alla posta. Ci lamentiamo che le zucchine sono sempre più care e poi tutte le sere in tavola c’è la frittata di zucchine. Perché allora non smettiamo di comprare queste maledette zucchine? Mi rendo conto che qui si parla di lavoro, di stipendio, di qualcosa di ben più difficile da rifiutare, ma ogni volta che accettiamo un contratto ingiusto, un lavoro mal retribuito, creiamo un precedente e svalutiamo la nostra e l’altrui professionalità. Il datore di lavoro sa che se tu te ne vai, altri cento sono pronti a prendere il tuo posto.
Però credo che piano piano qualcosa si stia muovendo nel nostro paese: ci sono sempre più collettivi, movimenti, associazioni. Ora manca solo trovare un punto di incontro. Essere uniti, questo ci serve. Per superare la paura – legittima - di rimanere senza “la pagnotta” a fine mese.

Un’ultima domanda: fonderete il Partito dei precari? Se si, io voglio la tessera!
La parola “partito” genera in me una certa ansia. Sarà perché sono nata nel ’78 e a questa generazione tale vocabolo non credo stia più tanto simpatico. Forse perché ormai molti politici fanno propaganda, invece di far politica.
Io scrivo. Faccio contenuti per il web e faccio cortometraggi. Il mio lavoro è questo.
I miei genitori però mi hanno insegnato due cose: non giudicare e non dire mai “questo a me non potrebbe assolutamente succedere”. La vita è strana ed è fatta di congiunture astrali che si divertono a demolire le tue previsioni e quelle che ritieni essere delle certezze. Perciò non vorrei fra 5 anni – anche se al momento lo escludo - ritrovarmi nel partito dei precari e sentirmi dire che avevo detto “mai nella vita”.
Per ora scrivo. Questo mi interessa. Avevo qualcosa da dire, 14 anni di precariato da raccontare e l’ho fatto nell’unico modo che conosco.


Ringrazio Silvia per la sua disponibilità: ce ne fossero di creativi così! 

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